Quante corde ha una chitarra

Spesso si incontrano artisti sensibili, ancor più spesso si incontrano “esecutori” molto competenti, trovare entrambe le componenti in una persona sola è cosa rara. Alberto La Rocca coniuga una sensibilità raffinatissima, una competenza enciclopedica e un’intelligenza vivace in un tal modo che raccontarlo solo attraverso il suo ultimo CD (peraltro bellissimo) sarebbe davvero riduttivo.

D: Dove e come nasce la passione per la chitarra e la musica e che spazio occupano nella tua vita?

R: Ho sempre amato la musica fin da piccolo. Uno dei miei passatempi preferiti, fin dall’età di quattro anni, era quello di ascoltare musica. Passavo le ore ad ascoltare quei pochi dischi che circolavano a casa mia, tra cui ricordo Beethoven, Chopin e Addinsell.

Ben presto ho chiesto di studiare il pianoforte, fin dai primi anni delle elementari ma, dopo qualche anno di insistenze, è arrivata in regalo una chitarra – strumento che non avevo mai chiesto!- perché un pianoforte avrebbe disturbato i vicini. Comunque la voglia di fare musica era tanta, che mi sono appassionato alla chitarra.

La musica occupa un grande spazio nella mia vita perché è insieme la mia professione e la mia passione. Mi dedico alla musica secondo varie modalità: suono, incido, compongo, insegno, faccio divulgazione e ricerca musicologica, organizzazione di eventi musicali e didattica.

D: Ti ritieni più autore o esecutore?

R: Sono sempre stato principalmente un esecutore, perché questa è la mia formazione. Ma fin da subito ho manifestato l’interesse verso la composizione, che in passato avevo accantonato perché mi veniva detto che bisognava studiare composizione per poter scrivere musica. Invece più tardi la voglia di comporre è emersa così forte che anche se la mia formazione non è quella del compositore, non ho potuto rinunciarci. E credo di aver dimostrato che è possibile.

D: Parliamo subito della tua ultima opera, il triplo CD “ERNEST SHAND – GUITAR MUSIC”? Ma soprattutto: la scelta dell’autore è già particolare, ma anche l’estensione del lavoro che hai voluto dedicarci è davvero importante. Cosa ti ha spinto?

R: Circa dieci anni fa scoprii casualmente Ernest Shand, compositore inglese vissuto tra il 1868 e il 1924, di cui non avevo mai sentito parlare. Stavo cercando spartiti in internet per ampliare il mio repertorio e quello dei miei studenti. Quando mi imbattei in Shand capii subito che si trattava di un autore eccezionale e non capivo – e non ho ancora capito! – come mai fosse stato dimenticato. Cercai quindi tutte le sue composizioni che potevo trovare, fino a reperirne sessanta; si trattava anche di spartiti rari custoditi collezioni private o in biblioteche sperdute in giro per il mondo. Quindi decisi che questa musica andasse assolutamente fatta conoscere al mondo, e non solo ai chitarristi, perché si tratta di esempi tra i più belli del repertorio chitarristico. Secondo me Ernest Shand è ai livelli dei massimi compositori per chitarra di ogni tempo, e regge benissimo il confronto con Sor, Regondi, Tàrrega o Villa-Lobos. Ho quindi registrato tutti questi pezzi, che hanno formato un cofanetto di 3 CD, per circa 3 ore di musica, che è stato pubblicato nel dicembre scorso dalla casa discografica olandese Brilliant Classics. Spero che il mio lavoro aiuti a rivalutare questo grande compositore dimenticato.

D: Cosa cerchi o cosa trovi nella musica antica e cosa cerchi o trovi nella musica contemporanea? Che musica preferisci suonare e che musica preferisci ascoltare?

R: Sono abbastanza insofferente verso la routine, quindi mi piace spaziare e variare di continuo. Non mi piace fossilizzarmi per molto tempo su un solo repertorio o periodo storico, sia quando suono o studio, sia quando ascolto.

La musica ha il potere di farci viaggiare nel tempo e nello spazio, per cui ascoltare musica antica è come fare un tuffo nel passato. E molti esempi di quel repertorio sono ancora freschi, suggestivi e sorprendenti. Ho recentemente collaborato a due spettacoli incentrati sul Medioevo (uno su Dante e un altro su leggende della zona di Lugo), per cui è stata un’occasione per immergermi nella musica dell’epoca, che nel repertorio chitarristico standard non ha mai spazio.

Ho cominciato invece ad appassionarmi alla musica contemporanea verso i quindici anni e trovo che sia affascinante la sua libertà espressiva e la novità di certe soluzioni. Sono inoltre convinto che un musicista abbia il dovere di conoscere la musica della sua epoca, perché è uno specchio del mondo in cui viviamo. Come sappiamo, non è un repertorio sempre facile da approcciare, ma con l’approfondimento e un atteggiamento mentale accogliente, si può entrare a far parte di questo mondo affascinante.

In ambito contemporaneo mi piace particolarmente rintracciare legami con le altre arti, soprattutto quella figurativa, di cui sono altrettanto appassionato. Mi chiamano a tenere dei seminari sui rapporti tra musica e arte contemporanea; è sorprendente constatare quanto queste arti siano vicine e quanto il loro confronto contribuisca a dipanare incomprensioni e difficoltà di lettura di entrambe le arti.

D : Qual è l’opera o interpretazione, musicale o figurativa, che più ti rappresenta o di cui sei più fiero?

R: Direi che sono più o meno soddisfatto di tutte le cose che ho realizzato, pur nella loro diversità.

Forse il lavoro più interessante e che mi rappresenta di più è il mio metodo per chitarra “Con la chitarra”, in due volumi, pubblicato da Ut Orpheus nel 2020, in cui presento un approccio all’apprendimento dello strumento completamente nuovo. Sintetizzarlo in due parole è difficile, ma potrei dire che innanzitutto non impone una specializzazione in un genere musicale particolare, ma vuole essere aperto a tutta la musica – colta, popolare, del passato e del presente – in modo da educare musicisti versatili e mentalmente aperti. In secondo luogo esso punta molto sulla creatività, fornendo spunti per comporre e improvvisare anche agli studenti principianti.

Sono fiero anche delle due operine scritte recentemente per la scuola, “Marco Polo” e “Anguane”, perché hanno un organico importante: cantanti solisti, coro e orchestra sinfonica. Si tratta dei miei primi esperimenti compositivi in tal senso e devo dire che hanno avuto e stanno avendo molto successo, perché vengono richieste e replicate spesso.

D: Sbaglio o è un po’ una tua cifra stilistica quella di cercare di inserire l’improvvisazione dove di solito non c’è? Come mai? E a questo potrei aggiungere, non ti bastavano 6 corde?

R: Sbagli! (ride) In realtà, quando interpreto un brano scritto, mi attengo fedelmente al testo (a meno che non sia prevista l’improvvisazione, cioè raramente).

Ho introdotto la creatività nella didattica dello strumento perché penso che la scuola musicale accademica sia fin troppo “museale” e manchi di fantasia, gioco e immaginazione, che nelle arti sono invece elementi essenziali. Dopo avere introdotto queste pratiche per i principianti, le ho recentemente sperimentate anche con studenti dei corsi superiori di conservatorio – spesso in attività collettive – con risultati molti interessanti.

Improvvisare, dal punto di vista didattico, ha molteplici vantaggi: serve ad esempio ad ascoltare se stessi e gli altri, comprendere il funzionamento del proprio strumento, interiorizzare i parametri sonori e le strutture compositive, comunicare propri messaggi, creare uno stile personale…

Riguardo al mio strumento, si tratta di una chitarra a dieci corde particolare, perché si estende non solo verso il grave, come le altre decacorde, ma anche verso l’acuto con un cantino supplementare. Questo permette di suonare certi repertori altrimenti ineseguibili sia su chitarre normali, sia su altre decacorde, come ad esempio le trascrizioni dagli strumenti a tastiera, dal liuto barocco ecc. Una chitarra del genere, ad esempio ha reso possibile la mia trascrizione della Fuga per organo BWV 539, impossibile su altre chitarre. Si può trovare anche su Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=Bx44dwH0l50 .

Inoltre tutte le mie composizioni per chitarra solo sono scritte per questo strumento e quindi eseguibili solo su questo.

D: Hai una notevole attività didattica? Cosa ti dà l’essere insegnante?

R: Ho una lunghissima esperienza di insegnamento, perché ho iniziato a dare lezioni fin da quando avevo circa quindici anni; ho quindi quarant’anni di esperienza.

Nella Scuola media a Indirizzo Musicale ho cercato di applicare i principi che avevo teorizzato durante i miei studi universitari al D.A.M.S., creando nel corso degli anni quello che poi è diventato il testo “Con la chitarra”.

Il Conservatorio, dove attualmente insegno, è un’istituzione molto diversa, perché si ha a che fare anche con studenti di livelli avanzati e indirizzati verso un determinato repertorio. Anche qui però ho sentito la necessità di svecchiare i programmi di studio e di renderli più equilibrati, versatili e ricchi di contenuti.

Collaboro anche con altri enti formativi, come ad esempio la Scuola di Musicoterapia InArteSalus, con lezioni di ascolto guidato e improvvisazione.

Insegnare è uno dei miei modi di essere musicista; condividere la mia passione con giovani promettenti e appassionati mi dà una grandissima soddisfazione.

D: Cosa preferisci fra esibirti, registrare/comporre e insegnare e perché?

R: Tutte le attività musicali che svolgo sono per me importanti e anche in questo caso sento la necessità di spaziare in diversi ambiti: composizione, ricerca musicologica, interpretazione, didattica, divulgazione e improvvisazione. Non amo molto esibirmi in pubblico da solista per questioni di emotività e preferisco suonare in gruppo o registrare.

D: La tua attività artistica non è solo musicale. Parlaci anche della pittura e della calligrafia, cosa cerchi e cosa trovi in queste due espressioni artistiche?

R: Sono sempre stato dotato nel disegno fin da piccolo e ho sempre amato disegnare e dipingere. Tanto che da piccolo immaginavo che sarei diventato pittore, non musicista! Poi però la vita mi ha portato a intraprendere studi musicali anziché figurativi, tralasciando la pittura. Circa quindici anni fa mi volli mettere alla prova per vedere se questa dote era rimasta intatta, e ricominciai a dipingere. Devo dire che ho ottenuto successo, dato che i miei lavori sono molto richiesti. Da allora non ho più smesso, ma purtroppo mi manca il tempo per produrre quanto vorrei. L’arte della calligrafia è invece una cosa a cui mi dedico saltuariamente, più che altro eseguendo piccoli lavori manoscritti su commissione.

In entrambe queste arti – come del resto nella musica – la ricerca è sempre quella della bellezza, del riuscire a emozionare con l’uso del colore, del segno o del suono…

D: Qual è l’artista, di musica o di arti figurative, che ti ha più stupito, che ti ha più coinvolto, che è andato oltre le tue aspettative?

R: Ne dovrei citare veramente tantissimi, in entrambi le arti. A bruciapelo risponderei Meredith Monk e Kurt Weill per la musica, Francis Bacon e Keith Haring per l’arte figurativa.

Dal punto di vista didattico/chitarristico c’è un artista – purtroppo deceduto pochi giorni fa – che mi ha molto influenzato. Con lui ho avuto la fortuna di fare alcune master class anni fa; si tratta di Angelo Gilardino, compositore, didatta e musicologo, che ha dato moltissimo a un’intera generazione di chitarristi. La sua cultura musicale e generale era incredibilmente vasta e la sua intelligenza nell’affrontare qualsiasi questione (storica, tecnica, compositiva, interpretativa…) ha lasciato un segno indelebile sulla mia formazione musicale e culturale, per cui gli devo tantissimo.

D: Vivi la tua evidente sensibilità con solitudine o riesci con facilità a comunicare la tua interiorità con gli altri?

R: Dovrebbe essere il mio pubblico a rispondere, non io! (sorride)

Penso semplicemente che un’acuta sensibilità sia una caratteristica fondamentale per ogni artista che si definisca tale. È uno dei tanti aspetti importanti che un musicista deve non solo possedere ma anche affinare.

Naturalmente anche il pubblico deve possedere i giusti recettori per poter cogliere i messaggi.

D: Qual è per te il ruolo dell’artista nella società moderna?

R: Penso che i ruoli dell’artista siano ancora oggi fondamentalmente due, opposti tra loro: un ruolo di evasione e uno di denuncia.

Il primo è quello appunto che ci fa evadere dalla nostra realtà contingente, fatta di gioie ma anche di dolori, per farci immergere in un mondo ideale, dove regna solo la bellezza, l’armonia e la perfezione.

L’arte di denuncia è invece un’arte impegnata, che riflette la realtà in cui viviamo anche nei suoi aspetti più tragici e ingiusti. Può essere un’arte anche dura e di difficile fruizione, ma il suo scopo è per lo più catartico ed educativo.

Io credo di collocarmi sostanzialmente nella prima accezione, con qualche occasionale incursione nella seconda.

Ringrazio te e ViCult.net per avermi dato la possibilità di concedervi questa intervista e auguro il meglio a tutti i vostri lettori!

http://www.albertolarocca.weebly.com/

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