Natale con Gabriele Scotolati. La libertà dissacrante e felice da 40 anni manifesto di una Vicenza ideale.

La sua prima scritta murale fu “zia Gina un giorno ti ucciderò”. Motivo? Trattava troppo male sua nonna e secondo lui nessuno la difendeva. Così gli nacque dentro un forte desiderio di vendetta e giustizia e scrisse in cucina quella frase, contando sul fatto che era il locale della casa più frequentato dal figlio (della Gina) e quindi il colpo sarebbe andato a segno con estrema certezza. Aveva 15 anni Gabriele Padoan, non ancora “Scotolati”, e già viveva in un suo bizzarro, alieno e giocoso mondo. “Da quando avevo 7 anni ho iniziato a raccogliere carta. Giornali, ritagli, manifesti, locandine, riviste…
Avevo amici di carta, amori di carta. I miei numeri del “Corriere dei piccoli” o altri giornali per ragazzi. La carta ha da sempre riempito la mia stanza, la mia casa, la mia vita”. Ed entrando nel suo appartamento in centro città, la carta, come genericamente la definisce lui, quasi a renderla presenza antropomorfa, è letteralmente ovunque. Rilegata, ordinata, divisa per anni, generi, inserita con perizia negli scaffali. Occupa le pareti coi suoi manifesti, coi calendari, non c’è singola stanza dell’abitazione che non sia di carta. “Va un po’ tutto dal 1964 ai nostri giorni. Sia chiaro, il mio senso per la vita non finisce con la carta, c’è ben altro da amare. Ma l’amica carta è il riferimento per eccellenza, anche se lo so che si può trovare di meglio”.

Scotolati è artista e uomo, situazionista e ponderato, solitario ed affollato da storie e fantasie. L’aneddoto della zia Gina non è da sottovalutare. Quella miccia nata dal desiderio di giustizia, di denuncia, è la vera forza propulsiva dentro alle trame del suo lavoro. Un’artista sociale, nel senso comunitario del termine.
Un vendicatore isolato, idealista a suo modo, che combatte una guerra che guerra non è, tanto è lontano anni luce da lui il concetto stesso di violenza, foss’anche la violenza dell’azione artistica. Scotolati è uomo mite, che posa i pensieri su un linguaggio forbito e maneggia con cura ogni cosa. A tratti pare un bambino che gioca, in altri momenti la consapevolezza di una traiettoria dalla coerenza di ferro, gli brilla in volto.
“Ad un certo punto ho sentito l’esigenza del muro. Fin tanto che la carta stava a casa mia io ero sereno, ma mi serviva poter comunicare, forse anche dover comunicare. E così, attorno ai 20 anni, le mia prima, piccola scritta, in corso Fogazzaro: “tristo caseggiato del libro malandato”. Era il muro della libreria di Carlo Matteuzzi (altra figura storica della Vicenza che fu e che ahimè non è più tra noi, ndr). Fu l’inizio delle mie frasi. Ancora oggi c’è un vigile di Gallio che mi saluta con “vietato elefantizzare le pseudo paure”.


Non è difficile immaginarsi il giovane Gabriele. Nella sua stanza privata non faceva entrare nessuno e chiudeva accuratamente la camera quando usciva, per evitare ci entrasse sua madre. Ma all’esterno la sua introversione diventava necessità di estroversione perché “davanti al muro ci passano tutti, e così ho rotto l’amore solitario e recluso (come mi chiamava mia mamma). All’inizio non firmavo mai, ma poi nel 1983 un po’ di scritte iniziarono a riscuotere rumore. Ne feci una a Palazzo Trissino “polizia polizia mezza suocera mezza zia” e poi “è troppo tempo che non scrivo più niente ed ora basta”. Rimasero là a lungo fino a che Giulio Ardinghi, incuriosito dal fenomeno, scrisse una sorta di appello sul Giornale di Vicenza chiamandolo “scrivi ragazzo scrivi”. Era il suo modo per dire “dimmi chi sei?”. Io ci pensai molto.
Era una trappola? Mi avrebbe giovato mostrarmi in pubblico e sciogliere l’anonimato? La morale è che andai da Ardinghi dicendo “beh, se vi piace tanto eccomi qui, sono così, scrivo così”. Ne nacque una rubrica sul giornale in cui io mi firmavo come “Fabioco” e la rubrica si chiamava “Fuori luogo”. Non ho mai ben capito perché scelsero di chiamarmi Fabioco a dire il vero”.
A sentir raccontare Gabriele la sua stessa parabola, ti coglie la nostalgia per la vecchia Vicenza. Una città in cui la goliardia era accettata al punto da diventare valore e viatico per un lavoro. Una città che rischiava, dissacrava e si prendeva anche meno sul serio. E così eccolo lì, a lavorare al Giornale di Vicenza, ma mica aveva smesso coi suoi muri. Macché. Nel 1983 arrivò il tempo delle “vie Scotolati”, 200 vie di Vicenza nate per caso durante l’estate, in seguito a delle disposizioni che portavano all’apertura di alcuni cantieri in centro. “A causa dei lavori, alcuni segnali stradali vennero ricoperti di carta bianca.
Uno di questi era accanto alla casa di un mio amico che si chiamava Scotolati. Io, ad un certo punto, trovai logico scrivere sul segnale temporaneamente bianco “via G. Scotolati”. L’amico a tarda sera venne addirittura a suonarmi il campanello di casa per ringraziarmi. Chiaramente dal giorno dopo iniziai a riempire tutti i segnali coperti che trovavo con la scritta “G.Scotolati” e a fianco le date di nascita e di morte 1852-1908. Gli davo i natali cento anni prima dei miei e lo facevo morire durante il terremoto di Messina nel 1908”.

Se vi sembra di star leggendo il racconto di un vandalo siete lontanissimi dal senso del tutto. Gabriele è come quei bugiardi che mentono per rendere la verità più sopportabile. Un clown che diverte i bambini e fa riflettere i grandi. Un incendiario futurista con però il culto della leggerezza, della soavità e della fiaba.
Volendo essere sintetici: Gabriele Scotolati è un generatore di libertà. “La parola è libertà e divertimento.
Le mie vie, oltre al nome Scotolati, indicavano una sorta di mestiere inventato. Duecento vie composte da due nomi tipo “chicchirista covatore” o “quaresimista lamentatore” oppure “sciaguratore allarmista”. Non so se ho una vena futurista, anche se non mi dispiace pensarlo. Il mio scopo è divertirmi perché amo la lingua italiana e tanto si può dire e tanto estorcere. Creo dei mondi”.
Il guaio è che dopo i cartelli fu la volta dei muri all’inizio delle vie e pian piano si sommarono 200 vie con 400 termini. “A quel punto non potevano più far finta di non vedermi. Il Comune prese provvedimenti e spese 30 milioni di lire su volontà dell’assessore Mariano Galla, per acquisire una macchina chiamata “Ghibli” che in sostanza distruggeva le vie scotolatiane.” E qui il racconto diventa un mèta teatro che neanche Ionesco. Durante la notte Scotolati disegna in giro per la città le sue vie e durante il giorno va sereno come un umarell a vedere il ghibli che le distrugge, e in parallelo continua il suo lavoro al giornale. Roba che Banksy is nothing. “Poi ad un certo punto però sospesero la mia rubrica. Secondo me mi avevano scoperto. E pensare che su “fuori luogo” scrivevo di storie di vie e di degrado e
un po’ di satira”.

Non potendo più scrivere sulla carta stampata del giornale cittadino, torna a scrivere sulla carta che si stampa lui medesimo. Nasce l’era delle “false notizie”, che ovviamente nulla hanno a che fare con le “fake news” di oggi. Non si tratta di idiozie deliranti passate per verità come accade in questi tempi di declino, ma dell’ennesima fantasia vitalista dello Scotolati.
Il caso “Corazzin” nacque il 25 luglio del 1984. “Pensavo fosse una cosa innocua e scherzosa. Mi ispirai alla caduta del Duce. Immaginai Mariano Galla artefice di un contemporaneo ordine del giorno Grandi ed affissi questa locandina fatta coi trasferibili. Centocinquanta manifesti qui e là per la città. Il giorno dopo il Giornale di Vicenza esaurì le copie. Tutti accorrevano nelle edicole per leggere la notizia della caduta di Corazzin. Il giornale dovette rivelare che si trattava di uno scherzo”.

Va da se che il successo di questa burla fece diventare ancora più famoso Gabriele. In poco tempo divenne un nome richiesto anche se, come dice lui, “non era un lavoro ma una spesa”. Lo sfogo poi si esaurì pian piano. Sempre sando la sua amata carta, rivendicava la libertà d’espressione.
“Non sono un nostalgico ma devo ammettere che c’era molta permissività all’epoca. Non so se ci sarebbe anche adesso. La mia storia dei manifesti abusivi finì con 11 milioni di multe raccolte nel solo 1984 e un processo che si esaurì con Tonino De Silvestri che, da giudice, invece di puntarmi il il dito accusatorio si mise a ridere. Non c’è una giustizia con una sola faccia, dipende tutto dalle persone. Per quel giudice, quello che i miei manifesti diffondevano non era offensivo ma umoristico. Sono stato giudicato innocente e successivamente amnistiato”.
Poi ci fu l’anno fondamentale, il 1988 contraddistinto dallo slogan “viva la grande rivoluzione colorostica”. Fu l’anno del colore e con il colore.


Chi è Gabriele Scotolati quindi? Di certo è un artista, uno nel senso classico del termine, che vende, che produce e che ha un mercato. Ma forse Scotolati è soprattutto un mezzo attraverso il quale Vicenza è stata protagonista negli ultimi 40 anni. La Vicenza dei suoi luoghi più nascosti e decrepiti. Non è certo materia di questi anni l’abbandono. In Scotolati c’è il contrasto tra vita e morte. Lui porta colore e sorriso dove c’è disagio, ama così tanto Vicenza che la dissacra dicendo “dai muoviti!”.
Per finire, visto il periodo, i calendari. Dal 1986 inizia a produrli; uno diverso ogni anno. Dentro ci mette la fantasia che si può espletare attraverso la scrittura. Ad oggi sono 42, perché in alcuni anni ne sono usciti due. Di solito ne stampa un migliaio, anche se il primo anno furono addirittura 15 mila.
Quest’anno (ovvero il prossimo, il 2022) protagonisti sono i gatti, non perché egli sia un gattaro, potevano essere pomodori o mattoni, ma coi gatti l’immaginazione ha più potere e gli permette di declinare in “gattese” i nomi presenti nei 366 giorni del 2022. Vedrete voi stessi.

Due postille:
1- La zia Gina poi è morta per davvero, ma non l’ha uccisa lui.
2- Se anagrammate la parola “Scotolati”, ne risulta “Ti ascolto”.

Aprile 2024

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