Quello che Davide Sacco ha ben chiaro è che di Vicenza si deve parlare sempre con una dose di ironia. La
città delle ciacole e dei rancori, dei basabanchi e dei perbenisti, o va presa un po’ in giro o finisce per
prendere in giro te. Quindi Davide ha scelto la strada della leggerezza, non della superficialità, si badi
bene, ma del sorriso anche sarcastico per cercare una via d’uscita dal cul de sac in cui ci siamo messi.
Sacco ama Vicenza, al punto da idealizzarla e spesso viaggiare a ritroso nel tempo, verso quella Vicenza
che ha vissuto da ragazzo e che era probabilmente migliore, per lui sicuramente.
Sono viaggi quelli narrati ne “L’Anello Magico”, sia reali che utopici, dentro e fuori dalle epoche ma
sempre calati nello scorrere di quella dimensione dello spirito che si chiama “vicentinità”. Come dice
nella prefazione Michela Valsecchi, viene a galla uno spaccato di Vicenza in cui spesso il tema è il
binomio uomo/donna. Che poi è il conflitto tra ordine e caos, tra digitale ed analogico, tra diversi tipi di
sensibilità. Anche quando viene vestito con abiti farseschi come nella scenetta in cui lui fa sparire gli
angioletti Thun senza sapere quanto costino, mentre lei va a ripescare i pochi che rimangono togliendo
spazio alle collezioni di Tex e Zagor. Ma “quando ne sposti uno, cadono tutti” – dice Davide, palesando
questa attitudine al prendersi poco sul serio, prendendo invece maledettamente sul serio le emozioni.
Sono racconti divertenti ma non fini a se stessi. Sacco è autore colto e dietro al “cazzeggio” c’è
un’abilissima padronanza della parola. Quello che esce dalla sua scrittura è una sottolineatura degli aspetti
decadenti della società che vengono attenzionati e derisi. C’è un’operazione che tende a smascherare la
relatività del sensazionalismo. Tra gli indizi chiari del declino attuale, l’autore cita la tecnologia. Una
tecnologia che ci mette in difficoltà anche con lo scrivere. Ad esempio, nel suo rapporto col T9 che lui
definisce lo “scorrettore automatico”: invece di correggerti ti fa sbagliare, come l’amico che una volta lo
mandò “in fuga”. “Si stava meglio una volta – chiosa Sacco – perché non ci viene naturale usare questi
strumenti. La tecnologia io la subisco”.
La subisce al punto che trova frustrante gli arrivino certe pubblicità sulla casella di posta elettronica che
secondo lui sono destinate agli anziani e questo lo sconforta. Maledetto internet! Lui, che si definiva già
un “no fax”, figuriamoci adesso. Eppure sui social ci sta. “Si, ci sono eccome, e il motivo è che alla fine
mi diverto”. Con questo spirito ha creato un gruppo facebook chiamato “mona se nasse”.
Così lo spiega: “ho preso spunto da un vecchio saggio romanzato sulla nostra inarrivabile unicità. Il
monismo è una concezione filosofica che spesso viene capita male. Come quell’amico che voleva farsi
frate per la vita monastica o quello che non aveva capito le monadi di Leibniz”.
La lezione di Davide Sacco è che non sempre c’è qualcosa da dire ma di sicuro sempre c’è qualcosa da
osservare. Diversi racconti presenti nel libro descrivono come la gente ha reagito al Covid. “Io ho capito
la gravità del virus quando un compagno di classe è stato per due mesi intubato”, dice Davide. Ha
conservato uno stretto legame coi suoi compagni del Pigafetta che spesso compaiono anche nei suoi libri,
come in “Fuoriclasse” dove l’ora avvocato Alessandro Zagonel doveva diventare Presidente del
Consiglio. Lo stile è quello di far ridere facendo riflettere, in maniera caustica e poco indulgente verso i
valori che stanno andando a ramengo.
E poi c’è tanta Vicenza. Anche nei ricordi dei suoi esordi giornalistici. Quella volta con Bramieri al
Teatro Roma quando, a mezzanotte, tutti andarono al ristorante e se lo dimenticarono in Teatro. Davide si
offerse di andarlo a prendere e lo trovò malinconico e molto diverso dal barzellettaro che tutti
conoscevano. Oppure con Gaber il 24 gennaio 89 all’Astra di Bassano, dove arriva con la 126 della
mamma e gli dicono che l’artista non sta bene e devono capire se ce le fa o no. Fu in realtà uno spettacolo
meraviglioso. Al termine, Davide riesce ad infilarsi nel camerino, accolto da un Signor G. con la sigaretta,
un sorriso e una voglia di parlare infinita. Compiva 50 anni quella sera e stava festeggiando così, con 4
gatti più un imbucato, a cui spettò pure la torta. Il giorno dopo, Gaber andrà in Francia a farsi operare per
lo stesso male che poi lo condannerà.
Ricordi indelebili e insegnamenti perenni. Tanto che con Gaber si potrebbe anche chiudere, usando per
Vicenza una sua battuta: “dove sono i posti dove passa la storia? Dove vado io, no!”