“La tradizione non può venir acquistata in eredità, e se la volete possedere, dovete conquistarla con grande fatica.” (Thomas Stearns Eliot)
C’è solo una cosa più limitante della libertà, ed è la speranza. Credere nel caso, nell’aiuto del destino, nel domani migliore a prescindere. La libertà è abusata nei dialoghi, nei concetti, nella comunicazione che diventa ossimoro perfetto per (non) spiegare la stasi accettata. Intere generazioni annichilite dalla loro stessa giustificazione inconsapevole alla superficie.
Ma cos’è questa crisi? C’è che la libertà, per comunicare libertà, deve essere regolata. Quindi non libera? Il grillo parlante della modernità ha investito in un master pagato carissimo dalla fabbrica della “vita adesso”. Quando il fiato gli viene corto e la libertà non porta i risultati spacciati ai creditori, ecco che interviene il sorriso beato della speranza e della sociologia new age “tutto intorno a te”, che toglie un po’ di pesi dalla coscienza e ne mette qualcuno in più alla memoria. Una memoria smemore, che scolora senza tramontare, agevolata dai crismi pagani del nichilismo prêt-à-porter. Aspetta e spera, che poi s’avvera.
La perdita del taccuino dei vecchi, in qualche soffitta della provincia percepita, non ha destato preoccupazione ma più che altro irragionevole adeguamento. Come se il progresso ci precedesse, pitagoricamente avulso al linguaggio secolare, per confondere non adepti con l’allure del salotto buono. Questa crisi è arrendersi al marketing, all’immagine della concretezza mascherata d’ingenuità. E le menti migliori della nostra generazione si fermano alla rappresentazione oleografica del conduttore delle danze, non avendo poi nessuna familiarità con le sale da concerto, crogiolandosi nel brodo allungato dove quel che non si conosce non esiste o non val la pena di essere men che capito, forse perché (brivido) “difficile”. Di semplice c’è il rifiuto della decadenza, della stasi, fors’anche della noia. Ciò che era per tutti ora si deve raccontare, divulgare. Tornare ai piatti poveri, agli orti dietro casa, al dialetto degli oggetti. Il mercato d’ogni dì, costringe all’acquisto coatto di possibilità e brame di gioia terrena.
Cristianamente dissento imbarazzato quando annuso l’aria putrida del bisogno d’espressione. Dopo la speranza e la libertà arriva la democrazia, l’avanti c’è posto, vai che vai bene! E se i miei pensieri non fossero spesso zoppi achilli, chiederei a chi di dovere di tassare le velleità, di proibire i romanzi nei cassetti, i 15 minuti di fama, la moda del “quel che oggi va”, per ordinare a modo che a “quel che va” si preferisce “quel che rimane”. Tutto è elegante fuori dalla modernità, come un treno a vapore con vagoni lussuosi e comodi. E dove si va quando si va piano? Magari si ha tempo per studiare, per capire, per affinare (se ci sono) i talenti. Ci vuole tempo, voce bassa e pacata, esposizione lunga per foto in movimento. E l’umiltà di scordare il presente, perché non è nulla di più che libertà, speranza e democrazia. Solo ieri e domani, e noi in mezzo. Solo la storia dentro di noi e gli strumenti del divenire da usare con la cura maniacale dei loici, col coraggio di chi ammette la paura.