Intervista a Roberta Rocelli, Direttrice Festival Biblico

Sono i giorni più caldi dell’anno, l’atmosfera ovattata di un pomeriggio lavorativo rende i gesti più lenti, i pensieri più calibrati. Raggiungo Roberta a Padova dove sta lavorando, come ogni giorno, a quella che dal 2017 è diventata la sua stessa vita, ovvero il Festival Biblico, di cui Roberta Rocelli è direttrice. Fa la spola tra Padova e Vicenza, città che di fatto l’ha adottata anche perché “il Biblico è nato e rimane vicentino, sia chiaro” si affretta a dirmi quando io, con improvvida premura, le sottolineo il dubbio sulla cittadinanza del festival. Si chiacchiera con una facilità disarmante con Roberta. Da subito la sua debordante passione mi conquista anche perché si lega ad una semplicità che sarebbe riduttivo definire umile e molto meglio tradurre come “umana”.

Il Festival 2021 fa i conti col presente come mai era capitato prima. Il tema scelto “Siete tutti fratelli” ci pone di fronte a responsabilità enormi, ovvero avere doverosamente cura della collettività anche e soprattutto attraverso le nostre scelte quotidiane, i nostri gesti, le nostre scelte private. “Era un’aspirazione più che un tema – mi dice Roberta – perché è una cosa con cui facciamo i conti. Siamo in una zona di confine tra mondo A (quello di ieri) e mondo B (il domani) e stiamo abbandonando le vecchie categorie che ora non ci servono più, ma d’altra parte non abbiamo un vocabolario nuovo per affrontare il presente e il futuro e quindi siamo andati in cerca del tema della fratellanza per capire innanzitutto come stiamo e per constatare il fatto che ora più che mai dobbiamo dire di più la verità”.

Se si parla di vocabolario nuovo la mente corre subito al Testo per eccellenza, base fondante dell’esperienza del Festival Biblico. “Assolutamente sì. Le Sacre Scritture sono carne rispetto alla fraternità, essere fratelli è sempre difficile e frutto di invidia e gelosie. La fratellanza deve evidenziare la diversità. Riattribuire significato alle parole perché non ce l’abbiamo più chiaro sotto agli occhi. La pandemia ha sconvolto tutto. Fratellanza è qualcosa che è sia sociale che economico che antropologico. Quanto fatichiamo ad essere fratelli?”

L’energia di Roberta è ammirevole, soprattutto pensando a quel che ci circonda. Ma proprio per questo l’impegno diventa ancor più totalizzante. Lei e tutto l’ampissimo staff sanno che la “missione” adesso si fa più seria di prima.

“Noi come Festival siamo soggetto culturale che chiede a chi si avvicina di mettere in moto uno spirito critico e di avere fame. Fame di sapere, fame di curiosità, fame di confronto. Ma questa fame sta venendo meno e il pensiero critico viene accantonato. Il nostro pensiero come una goccia costante è stato messo sotto pressione, e ora la gente cerca leggerezza”.

Lavorare così può diventare frustrante, le dico, e il mio pessimismo neanche tanto malcelato la sferza ancora di più. “Dobbiamo rieducare il pubblico perché oggi ha solo e sempre più voglia di intrattenimento e sempre meno di approfondire. Lo scarto sarà far capire questo a chi sostiene la cultura. Noi operatori dobbiamo dircelo chiaramente, altrimenti il negativo e la disillusione ci affosseranno. Dobbiamo far capire che oggi serve di più. Per noi ad esempio la faccenda pubblico è cambiata moltissimo. I numeri di prima ora te li scordi. Vi è una palese ritrosia alla complessità. La tragedia Covid ha dato il colpo di grazia ad una china che era già iniziata, ovvero la voglia di leggerezza nel tempo libero e il rifuggire occasioni di impegno”.

Il Festival Biblico è una realtà molto radicata in città e ormai in tutta la Regione, e parlando con Roberta mi è sempre più chiaro anche il motivo. La riflessione che parte pur sempre dal testo Sacro, si espande apparentemente senza limiti nel quotidiano di noi tutti, diventa esperanto di ogni cultura, di ogni esperienza. Vi è una ricerca instancabile di significati, di luce in fondo ad un tunnel che la pandemia ha solo allungato ma la cui bocca avevamo già preso tempo fa.

Le chiedo cosa davvero veda di cambiato adesso nell’affrontare il suo lavoro. “La pandemia ti mette di fronte al chiederti chi sei e perché lo sei e quindi del nostro lavoro c’è più bisogno ora di prima. Il Festival ha una grande funzione politica perché si pone l’enorme obiettivo di aiutare la gente a capire”.

Partito come esperienza unicamente vicentina, il Festival via via si è allargato ad altre province fino a diventare un evento annuale dislocato su tutto il territorio veneto, senza un periodo vincolante di calendarizzazione. “A me piace definirlo Festival sartoriale perché si plasma sul territorio e sulla fame e la sete che si trova là. Prima di ogni altra cosa ci chiediamo cosa farebbe piacere a noi, e poi lo proponiamo, sempre avendo in testa il turismo culturale. Ogni anno apriamo porzioni di territorio che pochi conoscono”.

Quel che fa la grande differenza e che plasma l’identità stessa del Biblico è la sua natura fondamentalmente laica che Monsignor Ravasi per primo capì agli albori dando una grandissima mano al suo lancio e successo. “Infatti il nostro è definito turismo culturale ad impatto spirituale e ci teniamo rimanga tale, anche se molti luoghi deputati alla fede sono comunque sfruttati dal Festival. Arriviamo molto anche per questo ad un pubblico più ampio e sono sempre di più i trentenni o i quarantenni che vengono ai nostri incontri. Chiediamo di dare la specificità della Parola: più noi capiamo la Parola e più ci estraiamo dalla confessione, pur restando aderenti alla scrittura per capire la contemporaneità. Credente e non credente non sono categorie che ci interessano e di certo non dividiamo le persone in questo, per noi esiste chi si fa domande e chi no. La Sacra Scrittura in questa infodemia assume la sua enorme coerenza e chiede di essere ascoltata per ricomprendere questi tempi”.

In passato Festival Biblico ha anche significato spettacoli di alto livello; ricordo a Roberta di aver personalmente visto i concerti di PFM e di Vecchioni in Piazza dei Signori. Le cose però, mi dice, stanno cambiando sotto l’aspetto della direzione artistica. “È una scelta che risponde al criterio di non volere per forza i personaggi POP ma di cercare di scovare quei talenti, quegli artisti che hanno delle cose da dire in termini di performance forti di contenuto. Ho totale rispetto di quanto fatto e proposto prima del mio arrivo ma penso sia importante adesso proporre contenuti che si discostino dalla vetrina che puoi facilmente trovare altrove”.

Arriviamo a parlare di Vicenza. Lei si sente mezza vicentina e le credo. Un po’ perché è davvero  impossibile non credere alla passione che mette anche in ogni parola che usa per rispondermi, e un po’ perché indubbiamente il Festival ha qui le sue radici e la sua casa. Le chiedo come veda, al di là del suo particolare, la vita culturale in città. “Vicenza soffre di qualcosa che in molti stanno soffrendo, ovvero troppe offerte non distinte e non organizzate. Di fatto manca un lavoro di rete perché tutti pensano a se stessi. C’è poi la generazione dei 60enni che iniziano ad essere ingombranti e la generazione nostra – e quindi nel “noi” ci mette anche chi scrive – fa fatica e sarebbe invece quella più propensa a lavorare in rete. Servirebbe un pensiero da project manager da parte dell’ente pubblico”.

Collaborare, fare rete, creare una cultura che parta dal basso perché poi al basso deve arrivare, una cultura che sia divulgazione, una cultura che si erga a narrazione di questi tempi difficilissimi. Dio benedica il Festival, penso tra me e me, e conservi questa dedizione, questo amore che sgorga da questa donna e da tutti coloro che ci lavorano. Lei mi interrompe e mi fa: “Ci terrei tantissimo se citassi la SCUOLA DEL PENSARE. Sarà presentata a Novembre e sarà una vera scuola a pagamento. Nasce per tenere sveglio il pensiero critico perché siamo di fronte ad una sovrapposizione di scenari plausibili e abbiamo bisogno della Sacra guida come codice culturale. Chi parteciperà alla scuola vivrà un’esperienza di sistemi di confronto e di nessi in modo complesso”.

A questo punto ci salutiamo e me ne torno a casa con una forza in più, perché questi esempi ti portano ad avere fiducia. Un altro modo di fare cultura è possibile.

www.festivalbiblico.it

photo credits: Festival Biblico.

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